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Gio, Mag

News Lavoro

In data 14 luglio 2018 scorso è entrato in vigore il cosiddetto "Decreto Dignità". Firmato dal Capo dello Stato Sergio Mattarella e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale con D.L. 87/2018 del 12 luglio 2018 contenente "disposizioni urgenti sulla dignità dei lavoratori e delle imprese" finalmente è stato convertito in legge (L. 96/2018 del 9 agosto 2018, pubblicata sulla G.U. 11 agosto, n° 186, e in vigore dal 12 agosto 2018).

 

Detto provvedimento rappresenta, di fatto, il primo atto del nuovo Governo in materia di lavoro e di imprese fortemente voluto dal neo Ministro per il Lavoro e lo Sviluppo Economico, nonché Vicepremier Luigi Di Maio, e contiene, tra l'altro, tematiche particolarmente a lui sensibili quali la stretta sui contratti a termine, sulle delocalizzazioni delle imprese già destinatarie dei fondi pubblici e la disciplina del gioco d'azzardo.

Vediamo in dettaglio cosa cambia per il lavoro e per le imprese

Con il Decreto Dignità, particolare attenzione è stata dedicata alle modifiche alla disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato, sarà, dunque, fatta guerra ai contratti a termine rinnovati ad oltranza al fine di assicurare ai lavoratori dei contratti stabili. Il provvedimento sarà immediatamente applicabile sia ai nuovi contratti di lavoro a tempo determinato stipulati dopo l'entrata in vigore del decreto, sia ai rinnovi e alle proroghe dei contratti alla medesima data. Ai contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni verranno comunque applicate le disposizioni vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore di detto decreto.

Al contratto di lavoro subordinato potrà essere apposto un termine di durata che non superi i 12 mesi, inoltre, la durata complessiva del contratto passa da 36 a 24 mesi, con possibili proroghe di massimo quattro mesi. Ad ogni rinnovo di un rapporto a termine, anche in somministrazione e anche al di sotto dei 12 mesi si avrà un costo contributivo crescente pari allo 0,5% che si andrà ad aggiungere all'1,4 % introdotto dalla Riforma Fornero che finanzia la NASpI. Tali aggravi contributivi per il rinnovo dei contratti a termine non sono previsti per i contratti di colf e badanti.

Per dare alle imprese il tempo di adeguarsi, per i contratti a termine già in corso si potranno applicare le vecchie normative fino al 31 ottobre prossimo.

L'attuale norma reintroduce le "cosiddette causali" legate al rinnovo, particolari circostanze che gli imprenditori dovranno indicare per giustificare la prosecuzione del contratto a tempo, che, come abbiamo visto, può essere prorogato solo per i primi dodici mesi, non applicabili, comunque ai lavoratori stagionali. Particolari condizioni delle imprese possono portare ad una durata contrattuale lavorativa superiore a quella prevista, fino ad un massimo di 24 mesi, quali esigenze temporanee e oggettive, non inerenti all'attività ordinaria, come esigenze sostitutive di altri lavoratori, oppure "carichi di lavoro" legati ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell'attività ordinaria. Se il contratto a termine supera i 12 mesi e non vengono indicate le causali si trasforma, automaticamente, in contratto a tempo determinato.

La normativa stabilisce, inoltre, l'aumento delle indennità per i lavoratori licenziati "ingiustamente" che a loro volta avranno 180 giorni di tempo per impugnare il contratto a tempo determinato. La nuova normativa prevede l'aumento del 50% degli indennizzi, minimi e massimi, sui licenziamenti illegittimi nei contratti a tutele crescenti. Da 4 a 24 mensilità previste dal Jobs Act si passa da 6 a 36 mensilità.

I contratti a tempo determinato, compresi quelli in somministrazione, non possono superare il tetto del 30% dei contratti a tempo indeterminato nella stessa azienda. Sono previste multe pari a 20,00 Euro al giorno in caso di somministrazione fraudolenta e l'esclusione delle Agenzie di Somministrazione dall'obbligo di indicare le causali per il rinnovo dei contratti a termine.

I lavoratori portuali sono esonerati dai limiti posti ai contratti a termine.

Multe per le imprese che delocalizzano e perdita dei benefici

Il Decreto Dignità apporta disposizioni importanti volte ad ostacolare le cosiddette "delocalizzazioni". Le imprese, italiane o estere, operanti nel nostro territorio nazionale, beneficiarie di aiuti statali per l'effettuazione di investimenti produttivi, perdono tale beneficio laddove trasferiscono la loro attività al di fuori del nostro paese. Sanzioni amministrative pecuniarie, pari ad una somma da 2 a 4 volte l'importo dell'aiuto fruito, saranno infine applicate a quelle aziende che delocalizzino la propria attività economica, o parte di essa, in Stati non appartenenti all'unione Europea, eccezion fatta per gli Stati aderenti allo Spazio Economico Europeo, prima dei 5 anni dalla fruizione dei contributi pubblici.



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